Messaggio della Madre Generale

La Quaresima ci aiuti a trovare il nostro deserto e lì contempliamo e sperimentiamo personalmente il Dio che ci rivela

Carissime sorelle Ave Maria.

 Parlando umanamente del tempo quaresimale, di per sé crea in noi un’ombra di malinconia, pensiamo subito di un tempo di prova di fame e di penitenza, di raccoglimento un po’ pesante. Interrompe improvvisamente quell’allegria che fino allora ci godevamo nelle celebrazioni liturgiche festive e nelle commensali varie. Ma nello stesso tempo in questi periodi feriali, nell’anima nostra cresce e si matura il desiderio e la nostalgia di una necessaria purificazione. Desiderio di bruciare tutto ciò che è male e invecchiato e di rifarci nuove nello Spirito, di vivere e dare una testimonianza di fede e di santità personale e comunitaria. Il tempo più favorevole per realizzare questi desideri è la quaresima.

La quaresima nella Bibbia ha un significato simbolico: quaranta giorni Mosè rimase sul monte Sinai prima di ricevere i Dieci comandamenti. Quaranta anni, il popolo di Israele rimase nel deserto prima di entrare nella terra promessa. Quaranta giorni Elia camminò verso il monte Oreb, dove il Signore gli si rivelò nel fruscio di un venticello. Per quaranta giorni Gesù digiunò per prepararsi per la vita pubblica e vinse le tentazioni, tre istinti fondamentali della vita umana: la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita. Nel deserto si scopre Dio, si sperimentano le tentazioni. Nel deserto si digiuna sognando la festa dell’eternità (cf. Nm 11.4; Esodo 16,3). Nel deserto, Dio rivela la Sua presenza. La Quaresima ci aiuti a trovare il nostro deserto e lì contempliamo e sperimentiamo personalmente il Dio che ci rivela.

 

 Noi sappiamo bene che senza la prova della vita non può esistere una nuova nascita e questa avviene soltanto con il nostro consenso alla grazia di Dio. E’bene che riconosciamo i momenti in cui abbiamo nutrito la nostra anima più con le comodità e gli standard mondani che con i valori Evangelici. Gesù ha la Parola nel cuore e sulle labbra, le sue brevi risposte sono molto efficaci al tentatore. Perciò in questo tempo santo, è necessario esaminarci sulle parole con le quali nutriamo la nostra vita quotidiana.

La nostra consacrazione deve essere fruttuosa nella Chiesa, nella nostra famiglia religiosa. Dobbiamo ringraziare il Signore per la nostra consacrazione, con i nostri voti stiamo vincendo molte tentazioni quotidiane, e stiamo dando anche una gioiosa testimonianza dei voti religiosi con il nostro essere e con il nostro servizio. Perciò non ci scoraggiamo per i momenti turbolenti inevitabili che ci sono, ma di offrire sempre di più noi stesse come Gesù ha donato la sua vita per noi.

 

                     La Chiesa ha bisogno della nostra santità, dice il Papa, la nostra felicità. La parola “felice” o “beato” che è sinonimo di “santo” (Gaudete et esultate). La nostra chiamata esige un cammino di santità. Gesù ha spiegato con tutta semplicità che cosa è essere santi, e lo ha fatto quando ci ha lasciato le beatitudini (cfr. Mt 5,3-12) quindi viviamo con fede e fiducia le beatitudini in qualunque contesto di vita ci troviamo: nella comunità, nel servizio con i malati, nella collaborazione con i laici medici, paramedici e altri. Credo che non è così facile vivere le beatitudini se non rimaniamo centrati e saldi in Dio che ci ama senza mai stancarsi. Da questa convinzione interiore è possibile affrontare e risolvere le incomprensioni, contrarietà, le aggressioni e le vicissitudini della vita. La testimonianza di santità è fatta anche di pazienza e costanza nel bene vincendo il male con il bene. È necessario lottare e stare in guardia davanti alle nostre inclinazioni aggressive ed egocentriche per non permettere che mettano radici in noi: “Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira” (Ef 4,26). Quando le circostanze ci opprimono, solo le suppliche e le preghiere ci conducano alla fonte della pace. Non angustiatevi per nulla…… (Fil 4,6-7).

 

                  Guardando attorno alle nostre comunità, alle attività apostoliche, le iniziative nuove come pastorale parrocchiale e ogni altro tipo di servizio, dobbiamo solo rendere grazie al Signore per i beni che il Signore compie attraverso ogni singola sorella, tanta disponibilità e generosità alla volontà del Signore, tanti sacrifici e annientamenti nell’adattare la nuova cultura e multi nazionalità. Tuttavia vorrei che puntiamo ancora sulla nostra comunione fraterna interna. Ci sono le comunità che respirano aria rinnovata e fresca di comunione, altri lottano contro il tentatore della divisione. Attenzione!!!ricordiamoci le parole di Dio che ascoltiamo alla compieta di ogni martedì “siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede” (1Pt 5, 8-9). La comunione è segno della presenza del Signore mentre la divisione è sempre l’azione del demonio, il grande tentatore di cui parla il vangelo.

Possiamo forse negare che non ci sono i conflitti e le divisioni nelle nostre comunità? Questi ultimi periodi ci sentiamo di una carenza del dialogo sincero e aperto tra le autorità e le sorelle in cammino di crescita. Da che cosa dipende questo? da un mancato accompagnamento spirituale e umano equilibrato? O mancata pazienza di vedere i frutti ritardatari?

 Il modo di imporre il proprio volere spesso sono cause di tanta amarezza nelle giovani, richiede perciò la maturazione di virtù relazionali specifiche: la disciplina dell’ascolto, la capacità di fare spazio all’altro, la pazienza di accettare una crescita lenta, la prontezza del perdono, l’esempio di vita ecc.….

 

     Alle sorelle giovani vorrei raccomandare alcune cose necessarie e semplici:

 

     -imparare a pregare con la Parola di Dio (lezio personale e contemplazione)

      – Crescere nel dialogo sincero e aperto con le autorità e sorelle maggiori.

     -Rispetto reciproco e intuizione delle bisognose tra le sorelle e aiutarle senza che l’altra ti chieda. Questo deve farci sentire sorelle non schiave.

Voi sorelle giovani, siete la speranza della nostra famigliaStringetevi sui valori positivi non a quelli negativi. Quel Sommo Bene che abbiamo dentro di noi, facciamolo gustare anche agli altri.

Spero che ogni comunità abbia preso le decisioni forti sotto la guida dello Spirito Santo per vivere questo tempo di quaresima.

La Vergine Santa ci aiuti a vivere degnamente la nostra vocazione ad essere accanto alle infinite croci della vita.

Buona e santa quaresima.

Messaggio del Santo Padre

Quaresima 2019 : «L’ardente aspettativa della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio» (Rm 8,19)

Cari fratelli e sorelle,

ogni anno, mediante la Madre Chiesa, Dio «dona ai suoi fedeli di prepararsi con gioia, purificati nello spirito, alla celebrazione della Pasqua, perché […] attingano ai misteri della redenzione la pienezza della vita nuova in Cristo» (Prefazio di Quaresima 1). In questo modo possiamo camminare, di Pasqua in Pasqua, verso il compimento di quella salvezza che già abbiamo ricevuto grazie al mistero pasquale di Cristo: «nella speranza infatti siamo stati salvati» (Rm 8,24). Questo mistero di salvezza, già operante in noi durante la vita terrena, è un processo dinamico che include anche la storia e tutto il creato. San Paolo arriva a dire: «L’ardente aspettativa della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio» (Rm 8,19). In tale prospettiva vorrei offrire qualche spunto di riflessione, che accompagni il nostro cammino di conversione nella prossima Quaresima.

1. La redenzione del creato

La celebrazione del Triduo Pasquale della passione, morte e risurrezione di Cristo, culmine dell’anno liturgico, ci chiama ogni volta a vivere un itinerario di preparazione, consapevoli che il nostro diventare conformi a Cristo (cfr Rm 8,29) è un dono inestimabile della misericordia di Dio.

Se l’uomo vive da figlio di Dio, se vive da persona redenta, che si lascia guidare dallo Spirito Santo (cfr Rm 8,14) e sa riconoscere e mettere in pratica la legge di Dio, cominciando da quella inscritta nel suo cuore e nella natura, egli fa del bene anche al creato, cooperando alla sua redenzione. Per questo il creato – dice san Paolo – ha come un desiderio intensissimo che si manifestino i figli di Dio, che cioè quanti godono della grazia del mistero pasquale di Gesù ne vivano pienamente i frutti, destinati a raggiungere la loro compiuta maturazione nella redenzione dello stesso corpo umano. Quando la carità di Cristo trasfigura la vita dei santi – spirito, anima e corpo –, questi danno lode a Dio e, con la preghiera, la contemplazione, l’arte coinvolgono in questo anche le creature, come dimostra mirabilmente il “Cantico di frate sole” di San Francesco d’Assisi (cfr Enc. Laudato si’, 87). Ma in questo mondo l’armonia generata dalla redenzione è ancora e sempre minacciata dalla forza negativa del peccato e della morte.

2. La forza distruttiva del peccato

Infatti, quando non viviamo da figli di Dio, mettiamo spesso in atto comportamenti distruttivi verso il prossimo e le altre creature – ma anche verso noi stessi – ritenendo, più o meno consapevolmente, di poterne fare uso a nostro piacimento. L’intemperanza prende allora il sopravvento, conducendo a uno stile di vita che vìola i limiti che la nostra condizione umana e la natura ci chiedono di rispettare, seguendo quei desideri incontrollati che nel libro della Sapienza vengono attribuiti agli empi, ovvero a coloro che non hanno Dio come punto di riferimento delle loro azioni, né una speranza per il futuro (cfr 2,1-11). Se non siamo protesi continuamente verso la Pasqua, verso l’orizzonte della Risurrezione, è chiaro che la logica del tutto e subito, dell’avere sempre di più finisce per imporsi.

La causa di ogni male, lo sappiamo, è il peccato, che fin dal suo apparire in mezzo agli uomini ha interrotto la comunione con Dio, con gli altri e con il creato, al quale siamo legati anzitutto attraverso il nostro corpo. Rompendosi la comunione con Dio, si è venuto ad incrinare anche l’armonioso rapporto degli esseri umani con l’ambiente in cui sono chiamati a vivere, così che il giardino si è trasformato in un deserto (cfr Gen 3,17-18). Si tratta di quel peccato che porta l’uomo a ritenersi dio del creato, a sentirsene il padrone assoluto e a usarlo non per il fine voluto dal Creatore, ma per il proprio interesse, a scapito delle creature e degli altri.

Quando viene abbandonata la legge di Dio, la legge dell’amore, finisce per affermarsi la legge del più forte sul più debole. Il peccato che abita nel cuore dell’uomo (cfr Mc 7,20-23) – e si manifesta come avidità, brama per uno smodato benessere, disinteresse per il bene degli altri e spesso anche per il proprio – porta allo sfruttamento del creato, persone e ambiente, secondo quella cupidigia insaziabile che ritiene ogni desiderio un diritto e che prima o poi finirà per distruggere anche chi ne è dominato.

3. La forza risanatrice del pentimento e del perdono

Per questo, il creato ha la necessità impellente che si rivelino i figli di Dio, coloro che sono diventati “nuova creazione”: «Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove» (2 Cor 5,17). Infatti, con la loro manifestazione anche il creato stesso può “fare pasqua”: aprirsi ai cieli nuovi e alla terra nuova (cfr Ap 21,1). E il cammino verso la Pasqua ci chiama proprio a restaurare il nostro volto e il nostro cuore di cristiani, tramite il pentimento, la conversione e il perdono, per poter vivere tutta la ricchezza della grazia del mistero pasquale.

Questa “impazienza”, questa attesa del creato troverà compimento quando si manifesteranno i figli di Dio, cioè quando i cristiani e tutti gli uomini entreranno decisamente in questo “travaglio” che è la conversione. Tutta la creazione è chiamata, insieme a noi, a uscire «dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21). La Quaresima è segno sacramentale di questa conversione. Essa chiama i cristiani a incarnare più intensamente e concretamente il mistero pasquale nella loro vita personale, familiare e sociale, in particolare attraverso il digiuno, la preghiera e l’elemosina.

Digiunare, cioè imparare a cambiare il nostro atteggiamento verso gli altri e le creature: dalla tentazione di “divorare” tutto per saziare la nostra ingordigia, alla capacità di soffrire per amore, che può colmare il vuoto del nostro cuore. Pregare per saper rinunciare all’idolatria e all’autosufficienza del nostro io, e dichiararci bisognosi del Signore e della sua misericordia. Fare elemosina per uscire dalla stoltezza di vivere e accumulare tutto per noi stessi, nell’illusione di assicurarci un futuro che non ci appartiene. E così ritrovare la gioia del progetto che Dio ha messo nella creazione e nel nostro cuore, quello di amare Lui, i nostri fratelli e il mondo intero, e trovare in questo amore la vera felicità.

Cari fratelli e sorelle, la “quaresima” del Figlio di Dio è stata un entrare nel deserto del creato per farlo tornare ad essere quel giardino della comunione con Dio che era prima del peccato delle origini (cfr Mc 1,12-13; Is 51,3). La nostra Quaresima sia un ripercorrere lo stesso cammino, per portare la speranza di Cristo anche alla creazione, che «sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21). Non lasciamo trascorrere invano questo tempo favorevole! Chiediamo a Dio di aiutarci a mettere in atto un cammino di vera conversione. Abbandoniamo l’egoismo, lo sguardo fisso su noi stessi, e rivolgiamoci alla Pasqua di Gesù; facciamoci prossimi dei fratelli e delle sorelle in difficoltà, condividendo con loro i nostri beni spirituali e materiali. Così, accogliendo nel concreto della nostra vita la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte, attireremo anche sul creato la sua forza trasformatrice.

Dal Vaticano, 4 ottobre 2018,

Festa di San Francesco d’Assisi

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